30 marzo 2011

 

Incidenti nucleari e impreparazione: Fukushima ricorda Three Mile Island

La mancanza di dati precisi, o meglio i dati contraddittori sulle emissioni di radionuclidi resi noti dall’azienda proprietaria e dal Governo giapponese dopo il disastroso incidente nella centrale nucleare di Fukushima, non sono certo una novità nella drammatica storia delle catastrofi atomiche. L’impreparazione nel prefigurare tutti i livelli di rischio (nella centrale giapponese, posta sulla costa dell’oceano, incredibilmente non era stato tenuto contro del rischio di uno tsunami), la difficoltà stessa delle rilevazioni, la diluizione di compiti e responsabilità in un gran numero di tecnici e funzionari, tutto insomma contribuisce dopo un incidente nucleare a creare panico nella popolazione, senza che siano diffuse tempestivamente notizie certe e dati esaurienti. Il pensiero va all’incidente di Three Mile Island, negli Stati Uniti (1979), a cui comincia a somigliare maledettamente la vicenda di Fukushima, se non altro perché causata dal medesimo incidente: il blocco delle pompe di raffreddamento. Vediamone una ricostruzione con foto e diagrammi dell’epoca. Anche allora silenzi colpevoli, sviamento delle indagini, cifre contraddittorie, incompetenza tecnica. Con la variante di coraggiosi esperti allontanati per aver parlato troppo:

"Prima della fusione accidentale del nucleo di Three Mile Island, l’industria nucleare diceva che la possibilità che accadesse una fusione del nucleo era la stessa che una persona venisse colpita da un fulmine in un’area di parcheggio. Tutto è iniziato alle 4 di mattina del 28 marzo 1979. La fusione alla centrale di Three Mile Island in Pennsylvania fu innescata quando un errore meccanico e uno spegnimento automatico delle pompe idriche principali del sistema di raffreddamento secondario fecero chiudere le valvole, con ciò causando un surriscaldamento dell’acqua del sistema di raffreddamento primario che ricopriva il nucleo radioattivo. Questo ebbe veloci conseguenze a cascata, in una sequenza di eventi automatizzati e di interpretazioni umani errate, che portarono al surriscaldamento e alla fusione del nucleo di 100 tonnellate di uranio. Durante l’incidente, acqua di raffreddamento altamente contaminata venne pompata attraverso una valvola verso la base del reattore e da lì in una cisterna collocata in un edificio ausiliare adiacente, dove grandi quantità di gas radioattivo vennero espulse nell’atmosfera esterna da una valvola difettosa. Il clima caldo al tempo dell’incidente peggiorò la situazione di crisi, con venti deboli e masse d’aria fredda a livelli più alti che impedivano all’aria calda di sollevarsi, producendo le condizioni ideali per l’intrappolamento delle emissioni radioattive.
Ormai è un fatto assodato che grandi quantità di radioattività sono derivate dall’incidente di Three Mile Island. Ma l’industria nucleare e il governo non hanno raccolto stime sulle fughe di isotopi specifici, e ad oggi non ci sono informazioni disponibili su quali di essi siano fuoriusciti, nè la reale quantità di radiazioni rilasciate nell’ambiente. Il misuratore di radiazioni gamma all’interno dell’edificio ausiliario dove tutte le radiazioni vennero rilasciate non era stato progettato per misurare concentrazioni radioattive così alte, e andò fuori scala fin dall’inizio dell’incidente, registrando un’emergenza che continuò per parecchi giorni. Così le sole stime sulle radiazioni rilasciate vennero fatte estrapolando i dati ottenuti dai misuratori di radiazioni gamma (dosimetri termoluminescenti, TLD) che erano collocati centinaia di metri dai camini, in basso presso il recinto che circondava il reattore. Dei venti TLD (che misurano solo le radiazioni gamma, non le radiazioni beta, che erano dalle tre alle cinque volte più delle radiazioni gamma), solo due erano più o meno vicini al punto dove passò la nuvola "calda", ed è quindi impossibile giudicare la dose assorbita da migliaia di persone basandosi solo su due rilevazioni…" La ricostruzione completa dell’incidente si può leggere qui.

IMMAGINE. La centrale nucleare di Three Mile Island (Pennsylvania, Stati Uniti).

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26 marzo 2011

 

Leggende nucleari. Le importazioni di elettricità reali e il fabbisogno energetico

Ma è vero che l'Italia importa dalla Francia una notevole quantità di elettricità proveniente da centrali nucleari? E' questo un argomento molto usato in queste settimane dai fautori delle centrali nucleari sul nostro territorio. Ecco un articolo che sulla base dei dati forniti dal gestore elettrico Terna intende fare chiarezza. E' chiaro che se trovassimo una tesi contraria sul medesimo argomento sarà nostro dovere pubblicarla:
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LEGGENDE NUCLEARI. TUTTA LA VERITA' SUL FABBISOGNO ENERGETICO NAZIONALE
Dalle centrali atomiche francesi l'Italia importa solo l'uno per cento dell'elettricità totale che consuma
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“Che senso ha continuare a snobbare il nucleare? Alla fine lo importiamo dalla Francia, tanto vale portarcelo in casa”. Lo sentiamo ripetere come un mantra ogni volta che si tocca la questione dell’atomo. Ma è veramente così? E se lo è, quanto pesa effettivamente l’energia atomica francese sul totale del nostro fabbisogno energetico? Per capirlo basta armarsi di pazienza e fare due calcoli. Partiamo dal “fabbisogno nazionale lordo” e cioè dalla richiesta totale di energia elettrica in Italia. Nel 2009, secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, è stato pari a circa 317.602 Gwh (Gigawatt/ora all’anno). Di questi, circa 278.880 Gwh (87,81%) sono stati prodotti internamente, in buona parte da centrali termoelettriche (77,4% delle produzione nazionale) che funzionano principalmente a gas (65,1% del totale termoelettrico), carbone (17,6%) e derivati petroliferi (7,1%): combustibili fossili, in larga parte importati. Il gas, che è la fonte più rilevante nel mix energetico italiano, arriva per il 90% dall’estero, soprattutto da Algeria (34,44% del totale importato), Russia (29,85%) e Libia (12,49%). La parte di fabbisogno non coperta dalla produzione nazionale viene importata, tramite elettrodotti, dai paesi confinanti.

In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa 44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri confini che producono elettricità anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati dalla Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il 75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%. In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il 2,5% del fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e lo 0,8% da quello sloveno.

In realtà, se si considera il mix medio energetico nazionale calcolato dal Gestore servizi energetici (GSE) in collaborazione con Terna, la percentuale di energia nucleare effettivamente utilizzata in Italia è pari ad appena l’1,5% del totale. Se si scompone il dato, si scopre che il nucleare francese pesa per circa lo 0,6% sul mix energetico nazionale. Ma c’è un’altro dato da considerare. Consultando i dati pubblicati da Terna si scopre infatti che l’Italia dal punto di vista energetico è tecnicamente autosufficiente. Le nostre centrali (termoelettriche, idroelettriche, solari, eoliche, geotermiche) sono in grado di sviluppare una potenza totale di 101,45 GW, contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007). Perché allora importiamo energia dall’estero? Perché conviene. Soprattutto di notte, quando l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari, che strutturalmente non riescono a modulare la potenza prodotta, costa molto meno, perché l’offerta (che più o meno rimane costante) supera la domanda (che di notte scende). E quindi in Italia le centrali meno efficienti vengono spente di notte proprio perché diventa più conveniente comprare elettricità dall’estero.

“E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi confinanti?”. Beh, non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta i dati possono esserci (un po’) di conforto. Le tre centrali nucleari più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville (regione dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in Slovenia a Krško, verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è a circa 100 Km in linea d’aria dalla Valle d’Aosta, a 250 Km da Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km dal confine piemontese e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso che si possa usare come riferimento il disastro di Černobyl‘, in caso di incidente sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio di 30-35 chilometri dal reattore. Quindi nelle nostre valli alpine e nelle grandi città del nord si possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli rispetto all’eventualità che si costruisca un reattore dentro i confini nazionali.

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13 marzo 2011

 

Appello. Una strategia del tutto nuova per le energie rinnovabili, di qui al 2020

UN RADICALE RIDISEGNO DELLA STRATEGIA ITALIANA PER LE RINNOVABILI FINALIZZATA AL 2020.
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Assistiamo, nel settore delle energie rinnovabili, a uno spettacolo indecoroso e sconcertante. Incentivi generosissimi, i più alti al mondo, hanno determinato una vera e propria “corsa all’oro”, prima, nel settore dell’eolico, poi, nell’ultimo anno e mezzo, anche in quello del solare fotovoltaico.
A pagare sono tutti gli italiani, attraverso le bollette elettriche, mentre sono praticamente azzerati i fondi per la ricerca che, invece, in particolare per il fotovoltaico, sarebbero indispensabili.
La stessa Autority per l’energia ha documentato una crescita esponenziale degli incentivi, considerati tra i “più profittevoli al mondo”, rilevando un crescente fenomeno di speculazione. Per non parlare, poi, dell’esplodere di inchieste giudiziarie che hanno documentato il coinvolgimento della criminalità organizzata nel business delle torri eoliche e dei pannelli fotovoltaici. E' il momento, dunque, di riprogettare dalle fondamenta l'intera strategia italiana per l'energia, nel quadro generale degli obiettivi strategici fissati dall'Europa e nell’orizzonte temporale che è il 31 dicembre 2020, non la fine di quest’anno e di quelli immediatamente a venire. Se teniamo conto della rilevantissima discesa dei prezzi registrata negli ultimi 3 anni nel settore fotovoltaico, e del probabile andamento che seguirà, scegliere di installare grandissime quantità di pannelli tutti adesso, in pochissimi mesi, invece che in un arco di diversi anni, è un errore clamoroso. Dovremmo invece pianificare, da oggi al 2020, una crescita regolata, progressiva e più sostenibile di installazione di impianti fotovoltaici, in armonia con il parallelo calo dei prezzi che inevitabilmente arriverà e a salvaguardia del prezioso terreno agricolo, del suolo naturale ricco di biodiversità, dei valori paesaggistici da preservare.
Una strategia così orientata, fondata su basi di prudenza e sostenibilità, ci permetterebbe non solo di tenere in vita l'intera filiera del fotovoltaico da oggi al 2020, ma soprattutto di raggiungere, a fine 2020, i 30mila MegaWatt di potenza installata: una dimensione ben superiore rispetto ai modesti 8mila MegaWatt che il Governo ha fino ad oggi programmato.
Quanto poi all’eolico industriale, dovrebbe ormai essere evidente a tutti che per l’Italia questa tecnologia energetica dai pesantissimi impatti paesaggistico-territoriali rappresenta una scelta a dir poco infelice. Perché, come valuta Wind Power Barometer, l’osservatorio di settore della Comunità europea, l’Italia vanta in Europa la terza potenza eolica installata, ma è solo settima per produzione totale, e una pala eolica in Italia produce circa la metà di quanto produrrebbe se fosse installata in Irlanda o in Portogallo. Perché, come documentano gli Amici della Terra, l’apporto delle torri eoliche ai consumi finali di energia può al massimo essere del 2%. Ma a quale prezzo, in ogni caso, otterremmo questi davvero modestissimi benefici energetici?
Il turismo in Italia vale infinitamente di più rispetto a quanto potrebbero rendere alcune migliaia di torri eoliche. Perché l’Italia è un paese con poco vento, ma con il più importante patrimonio storico e artistico che esista al mondo, con il più alto numero di siti patrimonio dell’umanità per l’Unesco, con le più importanti e spettacolari aree archeologiche del Mediterraneo.
Pensare di continuare ad innalzare migliaia e migliaia di mega-ventilatori d’acciaio, alti dai 100 ai 130 metri (più o meno come il grattacielo Pirelli…) sull’intera dorsale appenninica del Sud, nell’intero Molise, sugli altopiani siciliani o sardi affacciati sul mare, sulle magiche serre salentine oltre che sulle distese meravigliose di uliveti secolari punteggiati di castelli rinascimentali e di masserie fortificate o nel raggio di pochi chilometri da monumenti straordinari, di altissima rilevanza culturale, come Castel del Monte, la possente acropoli di Lucera, le aree archeologiche di Altilia-Saepinum e di Pietrabbondante, la Reggia di Caserta, i templi di Segesta e di Agrigento non è solo sbagliato, è anti-economico, anti-costituzionale, assolutamente irragionevole, forse criminale.
Per questo, chiediamo al Governo e al Parlamento:
1. di definire una strategia energetica nazionale che ci accompagni fino al 2020 e che assicuri più fondi per la ricerca e l'innovazione tecnologica e dia assoluto rilievo, oltre alla crescita dell'energia rinnovabile, anche al risparmio e all'efficienza energetica, da conseguire anche attraverso la bioedilizia e l'inizio di una politica di ricostruzione/rottamazione edilizia del patrimonio immobiliare post-bellico privo di qualità e di criteri antisismici;
2. di programmare l'uscita dall’eolico industriale e una riconversione dei relativi incentivi a vantaggio delle fonti rinnovabili di energia sviluppate in forme eco-sostenibili di autogenerazione diffusa (solare termico e fotovoltaico, geotermia, micro impianti eolici, ecc.) e della ricerca;
3. di fissare limiti all'installazione degli impianti fotovoltaici al fine di favorirne, in modo deciso, l'installazione sui tetti relativi a qualunque tipo di edificio, in particolare uffici, scuole, depositi, capannoni, fabbriche, distributori di carburante, parcheggi, ecc., o anche a terra nelle aree urbanizzate o industriali, e consentire l'installazione a terra, su terreni agricoli, solo di impianti di piccola taglia, al servizio dell'attività degli agricoltori per fini di auto-consumo, e, in parte, a integrazione del loro reddito personale.
Sarebbe possibile così rispettare, oltre che l’obiettivo strategico energetico fissato dall’Unione europea, finalmente i principi fondamentali della nostra Costituzione che all’articolo 9 proclama solennemente: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
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Carlo Ripa di Meana, Italia Nostra, presidente sezione Roma
Oreste Rutigliano,
Comitato Nazionale Paesaggio, segretario nazionale
Andrea Carandini,
docente archeologia classica (Università Roma La Sapienza)
Vittorio Sgarbi,
storico e critico d’arte
Vittorio Emiliani,
Comitato per la Bellezza, presidente
Mario Pirani,
giornalista
Giacomo Marramao,
docente filosofia (Università Roma 3)
Oliviero Toscani, fotografo
Rosa Filippini,
Amici della Terra, segretario nazionale
Carlo Alberto Pinelli,
Mountain Wilderness, presidente nazionale on.
Maria Rita Signorini,
Italia Nostra, cons. nazionale e Commiss. Naz. Energia
Emma Bonino,
vice-presidente Senato
Marco Pannella,
Partito Radicale Transnazionale, presidente
Elisabetta Zamparutti,
deputato Camera dei Deputati
Sergio D’Elia,
Nessuno tocchi Caino, segretario nazionale
Annamaria Procacci,
animalista, già parlamentare dei Verdi
Stefano Allavena,
Altura (Ass. tutela uccelli rapaci), presidente nazionale
Enzo Cripezzi,
Lipu (Lega It. Protezione Uccelli), coordinatore regionale Puglia
Pietro Bellasi,
docente sociologia dell'arte Università Bologna
Luisa Bonesio,
docente Geofilosofia
Alberto Cuppini,
portav. Rete resistenza sui Crinali, Emilia Romagna,
Maurizio Fiori,
portav. Rete Resistenza sui Crinali, Toscana,
Giovanni De Pascalis, Italia Nostra, consigliere sezione Roma

Nico Valerio, animalista, ecologista, Ecologia liberale .

IMMAGINE (cliccare per ingrandirla). La selva di altissime torri dell'impianto industriale eolico, fuori scala con l'ambiente circostante, incombe fino a stravolgerne il paesaggio sul piccolo comune di Frigento (Avellino). Un simile scempio non sarebbe stato possibile senza i finanziamenti eccessivi da parte dello Stato.

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08 marzo 2011

 

Energie rinnovabili. Niente eclissi di sole, ma ancora furberie e troppi soldi di Stato

I finanziamenti di Stato dati alle energie alternative stanno non solo falsando il mercato dell’energia e indirettamente distruggendo il paesaggio, ma si prestano a speculazioni e truffe di ogni tipo, tant’è vero che di alcuni scandali collegati all’eolico nel Sud si è occupata la Magistratura, che ha fatto eseguire diversi arresti. Questa manna di finanziamenti fuori mercato, ritenuti da tutti gli osservatori per lo meno eccessivi, e che oltretutto i contribuenti sono poi chiamati a ripianare con aumenti in bolletta, ha attirato ovviamente molte ditte legate alla criminalità, ma ha anche diffuso il malcostume, perfino tra le ditte più serie, di premiare con bustarelle e incentivi vari i comuni poveri del Centro-Sud, per la cessione di terreni adatti agli impianti. Quindi corruzione politica e amministrativa dilagante, e un impatto sul paesaggio e l'ambiente naturale disastroso. Tutto l'opposto di quello che immaginavamo, forse troppo ingenuamento, da giovani. Noi ecologisti, che fin dagli anni 70 abbiamo proposto e patrocinato le energie alternative, ci troviamo ora alle prese con i danni di un’interpretazione industriale e legislativa aberrante delle nuove fonti. Gli impianti, pur di lucrare le percentuali di Stato, sono realizzati anche sui terreni meno adatti, travolgendo antiche vocazioni agricole di qualità o turistiche. Inoltre il meccanismo stesso dei finanziamenti Cip6 è interpretato in modo furbo e molto discutibile. "Una grandissima fetta degli incentivi destinati alle rinnovabili in realtà va all’energia elettrica prodotta da fonti fossili o bruciando i rifiuti - sottolinea Blogeko - che, al contrario del vento e del sole, inquina, fa male alla salute e non costituisce per niente una fonte rinnovabile. E senza gli incentivi Cip6, l’incenerimento dei rifiuti non sarebbe economicamente appetibile". Dalla tabella accanto, elaborata dall’Autorità per l’Energia si vede il modo aberrante con cui sono stati distribuiti nel 2010 gli 1,72 miliardi di euro degli incentivi Cip6, finanziati attraverso la componente A3 delle nostre bollette. Tra l'altro stiamo ancora pagando per gli incentivi allo smantellamento delle centrali nucleari italiane. E’ evidente, insomma, che l’intero settore deve essere ripensato, razionalizzato e moralizzato, nel senso di rispettare contemporaneamente Natura e mercato. Ma come? Riportiamo, intanto, il parere espresso da Michele Governatori, opinionista per l'economia e l'energia di Radio Radicale.
NICO VALERIO
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“Il consiglio dei ministri dello scorso giovedì 3 marzo ha licenziato la versione finale del decreto legislativo che revisiona il sistema di incentivi italiani alle fonti energetiche rinnovabili e agli interventi di efficienza energetica. Un appuntamento in vista del quale s’è assistito a un’escalation di popolarità della materia e a una dicotomizzazione quasi tifosa delle posizioni. Da un lato chi grida al presunto scandalo di troppi soldi alle fonti sostenibili, dall’altro chi accusa la riforma di aver addirittura “ammazzato il sole”, come scrive, in prima pagina, Terra del 4 marzo. Ora, se i circa 3 miliardi all’anno che i consumatori di energia pagano per le rinnovabili siano tanto o poco, dipende da quanto ognuno di noi ritiene strategico lo sviluppo di una filiera energetica sostenibile e il rispetto degli obiettivi UE. Riguardo invece alla presunta eclisse solare, ci arrivo a breve. Il provvedimento del Governo segue una delega del Parlamento che prevede un adeguamento e un potenziamento del sistema di incentivazione alle fonti energetiche rinnovabili e agli interventi pro efficienza energetica, coerenti con l’obbligo italiano di produrre il 17% di energia da fonti rinnovabili entro 2020.
Ecco i punti principali del testo finale:
1. Il sistema dei certificati verdi, applicato oggi per incentivare l’elettricità da fonti rinnovabili di impianti non fotovoltaici, di grandi dimensioni e recenti, scomparirà gradualmente.
2. Verrà sostituito da incentivi fissi per tutta la vita utile degli impianti (non per un periodo limitato a una decina d’anni come oggi).
3. Anche gli impianti vecchi potranno avere il sussidio, se vengono ristrutturati parzialmente o totalmente. (Questo significa che per la prima volta anche la parte storica della potenza elettrica rinnovabile – per lo più idroelettrica – potrà beneficiare direttamente degli incentivi).
4. Entro 3 mesi il ministero dello Sviluppo dovrà decretare un sistema che permetta alle Regioni di scambiarsi tra loro quote di produzione di energia verde, in modo da essere responsabilizzate nel contributo a raggiungere l’obiettivo nazionale. Sistema molto importante perché dovrebbe fornire incentivi alle Regioni ad essere virtuose, eventualmente esportando energia verde se lo ritengono coerente alla loro vocazione.
5. Infine gli incentivi al fotovoltaico, che oggi sono di varie volte più alti a parità di energia prodotta rispetto ai certificati verdi che vanno alle altre fonti rinnovabili. Essi verranno rideterminati –si dà per scontato in riduzione - per gli impianti che partiranno dopo metà 2011.
Che gli incentivi al fotovoltaico siano oggi troppo alti rispetto ad altri, si deduce anche dal fatto che per questi impianti gli obiettivi del governo per il 2020 potrebbero essere già raggiunti entro un anno. Segno che il margine tra incentivo e costi, per il fotovoltaico, è diventato troppo largo.
E tornando alla dicotomia iniziale: c’è stata la sforbiciata invocata, o paventata, alle fonti rinnovabili? No, almeno per ora. C’è un nuovo sistema di incentivi più amministrativo e meno di mercato, che potrebbe comportare vantaggi e svantaggi conseguenti, c’è un’inattesa e forse discutibile concessione a vecchi impianti che funzionavano benissimo anche senza incentivi, c’è infine la prospettiva di rivedere un po’ prima del previsto, per i nuovi impianti, gli incentivi al fotovoltaico.
Se il tutto sarà più efficiente si vedrà solo dopo le tante norme attuative ancora necessarie, e da come funzioneranno le aste per fissare gli incentivi”.
MICHELE GOVERNATORI

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04 marzo 2011

 

Italia “morta” senza centrali nucleari? No, anzi, più viva senza gli sprechi

Ci piace il chirurgo e oncologo Umberto Veronesi, grande figura di scienziato e di divulgatore della scienza, perché questa del saper porgere e argomentare in modo chiaro e semplice, e con un tratto umano, è una dote in più, rara tra chi fa ricerca, che denota maggiore, non minore intelligenza. Tanto che Veronesi è nella lista dei personaggi simbolo da ricordare (blog "Nico Valerio"), accanto a Margherita Hack - anche perché entrambi sono vegetariani - al compianto genetista laico Buzzati Traverso, tanto osteggiato dalla Chiesa, e alla longeva Levi Montalcini.
Ma come abbiamo già criticato Veronesi per il favore con cui ha annunciato uno strano e inutile pomodoro nero-viola, solo perché più ricco di banali polifenoli che nel mondo vegetale si trovano dappertutto, così prendiamo le distanze ora che loda con entusiasmo da neofita. e per partito preso, l'energia nucleare. Si sa che è stato nominato presidente dell'Agenzia per la Sicurezza Nucleare. un ente che per quanto faccia o dica non potrà assicurare proprio nulla in fatto di sicurezza. Le scorie delle centrali nucleari, che restano radioattive per milioni di anni, sarebbero un problema insormontabile in un Paese in cui perfino i rifiuti urbani prodotti da una popolazione maleducata dal consumismo come quella campana sono rifiutati.
Ma da ecologisti liberali, ci preoccupa anche il deficit di libertà, il problema della convenienza economica e il surplus di costi che porterà un programma nucleare, nel caso (periodo ipotetico di III tipo) che fosse davvero realizzato.
Quale strano e masochistico pool di industrie si sobbarcherebbe gli oneri colossali di costruzione e di gestione degli impianti, in tempi di crisi economica stabile, e con la certezza di riavere i primi euro non prima di 10-12 anni?
E nel frattempo che cosa otterranno i malcapitati o furbi investitori di nascosto e di vietato (dal mercato e dalla morale) da parte dei vari Governi che si succederanno? Non ci saranno favori ai soliti industriali amici, fuori di ogni regola di concorrenza e di parità dei punti di partenza? Anzi, non sorgerà il lancinante sospetto che tutta la mastodontica operazione-bluff sia stata solo un costoso fuoco di paglia per favorire qualcuno alle spalle dei cittadini, dilapidando i soldi di tutti?
Sull'energia nucleare in sé, poi, non c'è da parte nostra, laicamente, nessuna posizione ideologica e aprioristica, sia chiaro. Soltanto, prendiamo atto che negli ultimi anni vari studi e interventi hanno appurato che il nucleare è troppo costoso, poco sicuro, insufficiente e perfino tecnologicamente un po' vecchio, come risulta da un esauriente convegno scientifico tenuto sul tema, da una dichiarazione della Bonino per i Radicali, e anche dalla posizione del maggiore ente protezionistico, Italia Nostra.
Inoltre, una proiezione dell'ENEL ha dimostrato che basterebbe razionalizzare i consumi elettrici ed eliminare gran parte degli innumerevoli sprechi - a parità di tenore di vita e con costi di riconversione bassi - per risparmiare l'equivalente di molte centrali nucleari.
Ma tranne gli studiosi che disegnano grafici e proiezioni, non parla nessuno di risparmio energetico, neanche i Verdi, come se prendessero atto che è un tema impopolare, che porta elettoralmente "sfiga", in un Paese maleducato al consumismo più becero e da "nuovi ricchi" del Terzo Mondo. E' un loro problema di intelligenza e comunicazione.
Senza contare il problema delle scorie, radioattive per l'eternità: i Governi che si succederanno dovranno far ricorso alla forza pubblica, anzi all'esercito in armi, per imporle alla popolazione? Da liberali siamo seriamente preoccupati del sorgere di una sorta di Stato di polizia ad uso energetico. E, visto che i Servizi Segreti non funzionano e da noi entra chiunque, specialmente dal Medio Oriente, non vorremmo che le centrali nucleari offrissero bersagli in più ai terroristi, già abituati in Iran a confondere tra nucleare civile e nucleare militare.
Insomma, come ecologisti e liberali siamo ovviamente per la scienza, per la tecnologia e per il Progresso, ma cercando di prevenire le applicazioni cariche di effetti secondari negativi. E siamo anche anche per la libertà (di tutti, non solo di pochi investitori furbi e raccomandati), per la moralità del mercato, le regole certe che tutti devono rispettare, il buonsenso dei costi in attivo, l'opportunità degli investimenti, il risparmio, la lotta agli sprechi, e anche per il minor danno possibile alla vita degli uomini e alla Natura.
Dopotutto, essere liberali non significa essere dei maniaci "costruttivisti" ad oltranza e a tutti i costi. Ogni persona sensata, liberale o no, si fa un po' di calcoli in tasca prima di investire. Perché un Governo non dovrebbe farlo?
Invece, a sentire certi conservatori ultrà mascherati da "liberisti", sembrerebbe che il mercato sia tutto in mano all'Ordine degli Ingegneri: un ordine e i bravissimi tecnici nucleari italiani, noti in tutto il Mondo, ti sfornano decine di centrali nucleari in pochi anni, realizzando nello stesso tempo, nientemeno, la Autosufficienza Energetica, il Progresso e lo stesso Liberalismo... Figuriamoci, così non è, ovviamente, e gli incolpevoli e bravissimi ingegneri italiani non sanno nulla di queste fantasticherie da Destra americana cara a Bush e ai film western dei cinema di terza visione negli anni Cinquanta.
Anche il Grande Cortile dei frustrati, Facebook, è affollato di gente che confonde il Liberalismo con una specie di società di muratori. Sembra quasi che costruire la migliore delle ideologie possibili significhi fare, anzi far fare, ai soliti amici, qualche Grande Opera. Così, tanto per fare qualcosa, a fondo perduto, solo per propaganda - alla Mussolini - e per far girare i soldi, ovviamente nelle tasche dei soliti noti.
Muratori poco liberi, però. Ricordiamo agli amici conservatori che si vergognano del loro nome (me perché? ripetiamo con Gobetti), che, malgrado cazzuola e compasso ce l'abbiano nel simbolo, le società dei "Liberi Muratori" ("maçonnerie") che al Liberalismo dettero impulso nel '700 e nell'800, erano solo simboliche... NICO VALERIO
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Ecco l'intervista incriminata, pubblicata dalla Stampa, a firma di L.Ubaldeschi, ieri 3 marzo.
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VERONESI: "SENZA NUCLEARE L'ITALIA E' UN PAESE MORTO"
«Spiegherò ai cittadini che si può fare in sicurezza e che non è giusto avere paura»
La Stampa, 3 marzo 2011
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Vista con gli occhi di Umberto Veronesi, la questione del ritorno all’atomo è estremamente semplice. «Senza il nucleare l’Italia muore. Tra 50 anni finirà il petrolio, tra 80-100 il carbone, seguito poi dal gas. Altre fonti non saranno sufficienti a fornire l’energia di cui abbiamo bisogno. Il risultato? Non avremo la luce, non potremo far funzionare i computer o i frigoriferi e neppure far viaggiare i treni. Se lo immagina?».
Se questa è la (apocalittica) premessa, non è difficile capire perché il medico più famoso d’Italia, a 85 anni, abbia deciso di abbandonare il Senato e accettare la presidenza dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’incarico - c’è da scommetterci - porterà con sé una cospicua dote di polemiche, ma Veronesi non ha dubbi che il piano possa realizzarsi senza pericoli per le persone e l’ambiente.

Professore, recenti sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria al nucleare. Non la preoccupa andare controcorrente?
«No, anzi, la conflittualità mi stimola. Sono abituato ad affrontare problemi scabrosi. L’importante è essere sicuro che la scelta che faccio sia moralmente corretta».

E in questo caso lo è?
«Assolutamente sì. Come oncologo conosco molto bene le radiazioni e i modi per proteggere i pazienti.Voglio dedicare i prossimi anni ad assicurare i cittadini che non corrono rischi».

Conoscerà altrettanto bene le contestazioni mosse dal fronte degli oppositori, vero? «Guardi, ci sono essenzialmente tre problemi per quanto riguarda un reattore nucleare. Primo, garantire la sicurezza nel funzionamento ordinario, obiettivo non difficile. Poi c’è la questione delle scorie e mi creda, nessunomai almondo èmorto per inquinamento da scorie. Infine c’è il fattore umano, la possibilità di poter disporre di personale qualificato è fondamentale. Basta pensare che i due grandi incidenti nelle centrali nucleari hanno avuto una caratteristica comune: sono dipesi da errori umani. E’ stato così a Three Mile Island, negliUsa, come a Cernobil».

Quel nome, Cernobil, a distanza di 25 anni agita ancora negli italiani incubi difficili da scacciare.
«Lo so, ma so anche che Cernobil è qualcosa che non potrà più accadere. Là era tutto sbagliato. C’era una macchina vecchia, pensata per usi militari, non civili. Si decise di fare un esperimento, vera follia in una centrale. E il direttore dell’impianto non era un esperto di nucleare».

Con questo che cosa vuol dire?
«Che poiché il fattore umano è cruciale, la mia attenzione maggiore sarà formare personale adeguato dal punto di vista tecnico, scientifico,ma anche psicologico, perché sappia far fronte alla pressione».

Ma dopo un quarto di secolo lontano dal nucleare, l’Italia ha il bagaglio di conoscenze necessarie?
«Due aspettimi confortano. In primo luogo che abbiamomantenuto viva la ricerca e centri come quello di Casaccia, vicino a Frosinone, sono all’avanguardia. Poi il fatto che partire da zero ci consente di usare le tecnologie più moderne e il tempo necessario a impiantarle ci daràmodo di creare le competenze per usarle almeglio».

C’è chi sostiene che le tecnologie scelte dall’Italia per le nuove centrali rischino di risultare superate una volta che gli impianti entreranno in funzione. Come risponde? «Ma noi non abbiamo ancora fatto una scelta definitiva, per cui l’obiezione non è fondata. E poi, una centrale è studiata per durare da 60 a 100 anni. Se anche ne trascorrono 10 per averla operativa, certo non potrà essere considerata vecchia».

Torniamo al primo problema che lei ha sollevato, il funzionamento del reattore. Gli ambientalisti ripetono che, pure in condizioni di normalità di un impianto, ci sono piccole dispersioni che creano conseguenzeper la salute. E’ vero?
«E’ un’invenzione assoluta. Non esce nulla. Meglio, esce dell’acqua, che può avere minime quantità di radiazioni, ma molto inferiori anche rispetto al livello di legge. Non crea problemi».

Resta la delicatissima questione delle scorie e di come smaltirle. Quando nel 2003 il governo individuò Scanzano Jonico come sede del deposito nazionale, ci fu una sollevazione popolare. Come pensa di affrontare questo aspetto?
«Il discorso è complesso, provo a ridurlo all’essenziale. Solo una piccola parte delle scorie richiede millenni per depotenziarsi completamente. Vanno messe in sicurezza, e ci sono le soluzioni per farlo, dentro una montagna o a grandi profondità. Al tempo stesso, si stanno affinando tecniche per renderle innocue più in fretta. Soprattutto, l’Italia potrà non avere depositi di scorie pericolose».

In che senso?
«Si tende a individuare un unico sito per Continente. In Europa ci sono tre soluzioni allo studio, tutte fuori dai nostri confini. Ma il punto vero è che le scorie sono sì un problema serio e costoso, ma non devono spaventare. Non si sorprenda se dico che c’è più radioattività in un ospedale. O ancora, lo sa che c’è uranio anche in un bicchier d’acqua? ».

Ma tra un bicchier d’acqua e una centrale esiste una bella differenza. La realtà è che c’è ancora paura fra la gente. Questo non conta?
«Ho trascorso lamia vita a combattere le paure ingiustificate. Soltanto 40 anni fa in Italia c’era ancora il timore a usare il forno amicroonde, per non dire di quando cominciò a girare la storia che il pane congelato in freezer fosse cancerogeno. Assurdità, lo sappiamo. Ma voglio dire che spesso la paura è frutto di ignoranza. Sono timori vaghi, confusi, sui quali giocano alcuni movimenti politici. Il risultato? Non si possono usare gli Ogm, non si fa la Tav, si bloccano i termovalorizzatori... ».

Mentre lei non ha dubbi che la soluzione del nucleare sia sicura.
«Certo.Guardiamo che cosa succede nel mondo. Tutti i Paesi puntano sul nucleare. La Cina ha previsto 120 centrali, l’India 60, la Francia ne ha 62, il programma svizzero ne contempla 8 per 8milioni di abitanti. Capisce? E ancora: scommettono sul nucleare Paesi di cui si parla meno, la Lituania, la Slovacchia, l’Armenia. Ma lo sa che anche inMedio Oriente, nella culla del petrolio, hanno imboccato questa strada? Gli Emirati Arabi hanno ordinato 4 reattori, tanti quanti è previsto ne abbia l’Italia. Possibile che siamo noi i più intelligenti a opporci?».

Le fonti rinnovabili non possono essere un’alternativa?
«Sarebbe bellissimo, ma dobbiamo intenderci. Dalle biomasse può arrivare l’1-2% del fabbisogno italiano, così come dalla geotermica. L’idroelettrica è praticamente già al massimo. L’eolica? Procede, ma abbiamo poco vento e bisogna pensare anche al paesaggio e al turismo. E se comunque, per assurdo, riempissimo la penisola di pale, arriveremmo a coprire il 10-15%. Resta il solare, io sto giusto mettendo un impianto nella mia casa in campagna. Ma è questa la dimensione, va bene per le famiglie, non per una grande fabbrica».

Il nucleare evoca anche scenarimilitari. Lei, che da anni si batte per il disarmo, non si sente un po’ al centro di una contraddizione?
«Per nulla. Lavoro per usare l’atomo a fini di pace. Nel mondo ci sono già oggi 30 mila testate nucleari, non c’entrano con la scelta di realizzare un impianto per produrre energia».

Una centrale agita anche il rischioterrorismo. E’ d’accordo?
«E’ chiaro che servono contromisure, ma non credo sia un pericolo reale pensare a qualcuno che si impossessa di materiale nucleare per costruire una bomba.Troppo difficile».

Lei, pur non essendo iscritto, è stato eletto nelle fila del Pd, un partito contrario al nucleare. Ha provato imbarazzo per questa diversità d’opinione?
«Difendo le mie posizioni di uomo di scienza. So che nel Pd c’è chi ha idee diverse, lo rispetto, ma restiamo distanti. Comunque, non è per questo che mi sono dimesso da senatore».

Così come nel 1987, c’è ancora un referendum che può bloccare il nucleare in Italia. Teme il voto?
«Le rispondo con una battuta. Se dovessero prevalere i contrari, io avrei più tempo libero per dedicarmi alla famiglia e ai miei interessi. Peccato che a rimetterci sarebbe il Paese».

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